Nel mio percorso di lettura incentrato sulle ultime uscite nelle librerie, considero novità editoriali anche le ristampe di libri già conosciuti che le case editrici decidono di ripubblicare.
In questi giorni è uscito per Adelphi, Mašen’ka (pp.150, 18 euro), il primo romanzo di Vladimir Nabokov pubblicato prima in lingua russa e poi tradotto in inglese nel 1970 con il titolo di Mary. La versione di Adelphi del 2022 si rifà a quella inglese, pur mantenendo il titolo russo, sicuramente più fascinoso. Vladimir Nabokov scrive Mašen’ka giovanissimo, a soli ventisei anni e lo dedica a Vera, la sua prima moglie.
Nato alla fine dell’ Ottocento a Pietroburgo da una famiglia di antica nobiltà, Vladimir Nabokov fu costretto, dopo la Rivoluzione d'Ottobre del 1917 a lasciare la sua patria portando con sé quei ricordi e quella nostalgia così potente che solo gli espatriati possono avere. Scrive Mašen’ka giovanissimo, a soli ventisei anni e lo dedica a Vera, la sua prima moglie.
In questo romanzo Vladimir Nabokov parla di sé, del suo primo amore e della Russia. Quella Russia che il corso della storia lo aveva costretto ad abbandonare e dove, ha affermato più volte nelle interviste, non voleva più tornare perché non la riconosceva più e tutto ciò di cui ha bisogno della sua terra lo porta sempre con sè: la letteratura, la lingua, i ricordi di infanzia .
Al centro del romanzo c’è il suo alter ego Lev Glebovič Ganin, esule russo a Berlino, un uomo che vive alla giornata senza progetti in uno stato di incurabile sofferenza per quello che ha lasciato.
Ganin vive in una pensione frequentata solo da esuli russi gestita da una vedova di un uomo d’affari tedesco molto attenta al denaro e alla sua attività.
La pension era sia russa che sgradevole: sgradevole soprattutto perché per tutto il giorno e buona parte della notte si udivano i treni della Stadbahn, il che dava l’impressione che l’intero edificio lentamente si spostasse. Il vestibolo, in cui era appeso uno specchio opaco con una mensola per i guanti e dove una cassa panca di quercia era collocata in modo tale che era inevitabile sbatterci contro gli stinchi, si restringeva in un corridoio spoglio e molto angusto, su entrambi i lati c’erano tre stanze; su ogni porta erano incollati grandi numeri neri, che non erano altro che foglietti del calendario dell’anno passato: i primi sei giorni di aprile del 1923.
Il rumore del treno che passa fa da sfondo alla narrazione e alle vicende degli altri personaggi. Oltre a Ganin infatti vivono alla pensione Klara, ragazza prosperosa e triste, segretamente innamorata di lui, con poche prospettive di vita futura, due ballerini Kolin e Gornocvetov, molto femminili e molto muscolosi, Podjagin, un vecchio poeta e Alferov, un anziano non in ottima salute.
Tutti vivono, mangiano, dormono, parlano, lavorano ma sono allo stesso tempo ombre di un mondo che hanno perso. La loro vita di emigrès è fatta di nostalgia.
È proprio, Klara, che ci fa conoscere il lato fisico di Ganin. Lo descrive un uomo dai lineamenti marcati, appena arroganti, occhi grigi, pupille grandi, sopracciglia folte e scurissime che quando lui si adombrava o ascoltava con attenzione, formavano un’unica linea nera, ma che si spiegavano come ali delicate quando un raro sorriso scopriva momentaneamente i bei denti lucenti.
Arrivato in Europa, Ganin si è adeguato a fare i più svariati lavori, arrivando fino a vendere la propria ombra su un set cinematografico, come comparsa. Ora, avendo risparmiato, non ha la necessità incombente di lavorare. Il suo desiderio è quello di andarsene ma fino a quel momento non ha trovato il coraggio.
E intanto, una nostalgia al contrario, il desiderio di un’altra terra sconosciuta era diventato particolarmente intenso con la primavera.
A Ganin piacciono le donne e porta avanti da tempo una relazione con Ljudmila; una relazione dove, da parte sua, manca da un pezzo l’energia e l’entusiasmo. Tutto di lei lo ripugna, da come porta i capelli, a come si veste, il suo odore o il colore del rossetto.
A Ganin sembrava che nel suo odore vi fosse qualcosa di squallido, di stantio, di vecchio, nonostante avesse solo venticinque anni.
Le giornate di Ganin passano tutte uguali, chiuso nella sua condizione di esule. Ma la sua apatia viene scossa una sera da Alferov quando, orgoglioso e fiero, gli mostra la foto della moglie che sta per raggiungerlo dalla Russia dopo 5 giorni di viaggio. La foto non è chiarissima ma la somiglianza è indiscutibile. Ganin riconosce Mašen’ka il suo primo dolce amore giovanile.
Mostrò un’altra fotografia.
- E questa è mia moglie, Mašen’ka. La foto non è un granchè ma la somiglianza è buona. Ed eccone un’altra, presa nel nostro giardino. Mašen’ka è quella vestita di bianco. Non la vedo da quattro anni, ma non credo sia cambiata molto. Non so come farò a resistere fino a sabato. Aspetti! Dove va Lev Glabovič? Rimanga la prego.
Si apre per lui il mondo dei ricordi. Cammina senza meta per le strade, di piazza in piazza, di caffè in caffè, seguendo la successione dei ricordi che gli sfilano veloci nella mente, come le nuvole d’aprile nel delicato cielo berlinese.
Vagabondando per la città, ricrea nella sua mente con tenerezza e con amore la Russia che conosceva, quella che ora non esiste più. Cerca nella sua memoria i più piccoli particolari fino ad arrivare alla creazione di un vero e proprio mondo. Quel mondo dove viveva la donna che amava. E ricorda i momenti più dolci passati con lei.
Completamente assorbito dall’accavallamento di sogni e ricordi, non si rende conto che i giorni passano.
Era a tal punto assorbito dai ricordi che non si rendeva conto dello scorrere del tempo. La sua ombra abitava alla pension di Frau Dorn, ma il suo vero io era in Russia rivivendo i ricordi come fossero realtà. Per lui il tempo era diventato il corso del ricordo che si dipanava gradualmente.
Mašen’ka è un romanzo lento, dove succede poco, perfettamente in sintonia con le vite degli emigrès che portano avanti la loro esistenza vivendo alla giornata, senza colpi di scena e in uno stato dicontinua attesa. Ma in Mašen’ka, nel linguaggio utilizzato e nel raffinato stile del racconto si vede già che grande narratore novecentesco sarà Vladimir Nabokov.
Alla prossima lettura
Paola