“L’ha visto in faccia?”
“Si.”
“Può descriverlo?”
“No.”
Questo dialogo è sulla copertina dell’ultimo libro di Nicola Calathopulos, Testimone imperfetta, pubblicato da Minerva Editori (pagg. 524, 19 euro).
La domanda alla base di questo giallo è la seguente: perché se una testimone ha visto in faccia l’assassino non è in grado di descriverlo almeno un po'?
Risposta: perché la testimone è imperfetta.
Ma procediamo con ordine, per essere chiari e comprensibili.
Nel racconto Martina Saggesi, la protagonista, lavora alla Valerba editori, uno dei più grandi gruppi editoriali italiani. Lei è un'editor brava e intransigente, molto intransigente; è una che dal punto di vista lavorativo non fa sconti a nessuno, soprattutto agli autori dei libri che deve curare.
È un giorno d’inverno, sotto Natale; sono le 18,30, Martina Saggesi è ancora alle prese con un manoscritto che non le piace, sta massacrando il suo autore. Improvvisamente sente un urlo disumano, agghiacciante e riconosce una voce di donna, una collega. Poi sente un altro urlo più basso e rassegnato, come se qualcuno non avesse più alcuna forza per vivere.
Martina va nella stanza della collega vede in faccia l’assassino. L’assassino la guarda. Poi lei scappa.
Fa un salto sulla poltrona. Come quando qualcuno ti arriva alle spalle e non te ne accorgi. Questa volta non è colpa di quello che stai leggendo. Un urlo. Ha sentito un grido che ha lacerato il silenzio della sua stanza e di quel pomeriggio di fine novembre. Qualcosa di soprannaturale.Viene da fuori. Lontano ma non troppo. Forse in corridoio. In un altro ufficio. Non fa in tempo a chiedersi cos’è perché ne arriva un secondo. Molto meno forte del primo. Ha qualcosa di disumano. Ci sono dentro dolore e sorpresa. Rassegnazione. Si alza di scatto e corre fuori per capire.
Martina Saggesi è sì testimone oculare del delitto, ma è imperfetta. Non può essere utile alle indagini perché soffre di prosopagnosia.
Ma che cos’è la prosopagnosia?
La prosopagnosia è una malattia che crea un deficit percettivo che impedisce, a chi ne è affetto, di ricordare le facce. È difficile da diagnosticare perché può essere innata o acquisita negli anni e molti medici erroneamente la scambiano per una forma di autismo. In Italia si stima che soffrano di questa malattia circa un milione e mezzo di persone. Il più famoso al mondo è l’attore americano Brad Pitt che ha sdoganato la sua condizione parlandone nelle interviste. Per la prosopagnosia non esiste cura, chi ne è colpito è costretto a sviluppare, accorgimenti o attività alternative per riuscire a vivere in un mondo senza facce. Il soggetto colpito farà più attenzione quindi ai dettagli e ai segni particolari delle persone: il modo di vestire, di muoversi, il timbro della voce, il colore dei capelli o lo sguardo. Ma la natura non cambia e quando vedono una persona è sempre come se fosse la prima volta.
Martina Saggesi soffre di prosopagnosia fin dalla nascita, ma lo realizza nella preadolescenza. Pur sentendo forte il peso della sua condizione, decide di vivere la sua vita senza vittimismo e diventa una donna forte riuscendo quasi sempre a trasformare la sua mancanza in un’opportunità. Per ricordare si aiuta con la scrittura, annotando scrupolosamente sulla sua Moleskine tutti i particolari delle persone che incontra, per poi più facilmente riconoscerli.
Chi indaga sull’omicidio è il commissario Farina, un uomo con delle caratteristiche particolari definito dall’autore un commissario Maigret del XX secolo. È un po’ filosofo e un po’ artista, ha sviluppato una forte abitudine a riflettere sui problemi della vita e a osservare chi lo circonda. Arriva anche ad avanzare alcune teorie che a volte risultano essere buffe.
È meglio riflettere prima su quello che potrà succedere per avere una teoria pronta all’uso.
Lui interroga, studia, parla molto. Cerca di arrivare all'anima della persona che ha davanti.
All’inizio delle indagini è molto positivo e pensa di poter risolvere il caso in poche ore. Poi si rende conto di avere davanti un ostacolo difficile da comprendere e superare.
Fa quindi ricorso alle sue abilità di artista e ricorda il periodo in cui era disegnatore anatomico.
Era più divertente quando ero un disegnatore anatomico. Laureato all’Accademia di Brera con il massimo dei voti. Fare un identikit era molto più bello. Non facevo solo un disegno, catturavo l’anima.
Le sfumature di uno sguardo svelano le ragioni di un’azione. Le persone che avevano subito violenza con me si confidavano. Le sapevo prendere. Si aprivano mi raccontavano di loro. Tra noi si creava empatia.
È questa sua abilità che gli permette di entrare nella mente della testimone e sfruttare tutte le sue risorse arrivando a informazioni altrimenti irraggiungibili con metodi tradizionali.
E il romanzo svela con un lungo discorso tutto ciò che sta dietro alla realizzazione di un identikit.
Il destino di Martina si incrocia con quello del commissario Farina.
Se si pretende da me che io riconosca l’assassino, non posso farlo, sono una testimone imperfetta, ma chi non è imperfetto.
Andando avanti nella lettura, la trama si complica e prende una piega strana che il lettore non si aspetta. Le indagini sull’omicidio si intrecciano con un’altra storia oscura, un fatto di cronaca, ambientata sempre nel campo dell’editoria che si sviluppa mantenendo legami con la storia principale.
Testimone imperfetta è un giallo scritto con grande capacità, una capacità che tiene il lettore legato alle pagine – lo stesso è capitato a me. in un’intervista lo definisce un giallo esistenziale perché nello sviluppo è molto importante anche la vicenda personale della protagonista.
Nocola Calathopulos è bravissimo a entrare nella mente dei suoi personaggi. Sentiamo il dolore del commissario che ha appena finito una storia d’amore o il suo disagio quando affronta la demenza della madre. Leggiamo anche i pensieri dell’assassino quando non riesce a capire perché non viene arrestato.
Se non mi hanno arrestato è perché non possono farlo. Perché? Vuole lanciarmi un messaggio? Forse si farà viva per ricattarmi? Mi ha in pugno. Devo trovare quella donna e metterla in condizione di non parlare mai più
Nicola Calathopulos in Testimone imperfetta e nel libro precedente - Dannati per sempre - che ho appena iniziato a leggere, racconta una grande verità: ogni essere umano è imperfetto e l’imperfezione – e queste sono parole sue – è bellezza perché è fuga dalla conformità. Ciò che lo affascina è senza dubbio l’unicità e l’originalità.
E ci ricorda una frase famosa di Leonard Cohen con cui vorrei chiudere questo post: "C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce."
Alla prossima lettura
Paola