Ho avuto una libreria per qualche anno e così, ogni volta che visito una città, vado alla ricerca di questi luoghi nei centri storici, di qualunque tipo esse siano, dai mercatoni ai piccoli negozi indipendenti.
Sapevo che a Trieste esisteva un posto speciale e poco tempo fa sono andata a cercarlo. Sto parlando della “Libreria antiquaria” appartenuta al poeta Umberto Saba e considerata uno dei luoghi storici della città. La libreria si trova in via San Nicolò al numero 30, una via centrale che termina sul lungomare. Non ha un aspetto vistoso e si confonde tra i tanti negozi della strada. Da fuori si vedono solo due vetrate della quali una è una vetrina dove sono esposti libri in maniera poco curata, l’altra è l’entrata del negozio. Le due vetrate sono divise da una colonna con un capitello.
Quando entro mi rendo conto di essere in un luogo molto particolare, diverso dalle librerie che sono abituata a frequentare. Mentre mi guardo attorno, forse in modo un po’ spaesato, un signore di mezza età mi chiede con gentilezza se desidero qualcosa. Io rispondo che per ora desidero solo guardare. Gli ambienti sono due e non molto grandi, c’è poca luce, le pareti sono completamente coperte di libri fino al soffitto, vicino alla vetrina c’è una vecchia macchina da scrivere e appoggiati alle scaffalature ci sono alcuni ritratti del poeta. Nell’aria c’è un forte odore di carta. Un gruppo di persone parlano tra loro in modo molto amichevole, riesco a sentire che discorrono di libri e sembrano rilassate.
Chiedo al proprietario un volume sulla libreria e lui mi propone “La libreria del poeta” di Elena Bizjak Vinci e Stelio Vinci. La lettura di questo libro mi ha fatto scoprire cose che altrimenti non avrei mai saputo. Umberto Saba, conosciuto da me solo come poeta, acquistò questa libreria quando era ancora giovane, grazie ad un’eredità di 100.000 corone che ricevette alla morte di sua zia Regina. L’intenzione non era quella di diventare un libraio ma di fare un buon affare e rivenderla al più presto a un prezzo maggiorato. Il fascino dei 28000 libri contenuti nella libreria colpì il poeta, che cominciò a occuparsene con passione; questo posto sarebbe diventato il suo luogo, un luogo dove poteva sentirsi al riparo dai movimenti del mondo e soprattutto scrivere i suoi versi. Qui si poteva proteggere dalle le varie vicissitudini per i seguenti 35 anni.
Fare il libraio era un lavoro nuovo per Umberto Saba, un lavoro che lo costringeva a mettere in gioco alcune abilità che non sapeva di possedere. La passione per i libri doveva conciliarsi con i conti economici ma soprattutto realizzò di dover sviluppare delle doti da psicologo perché i clienti con cui aveva a che fare erano un pubblico molto di nicchia; essi andavano ascoltati, coccolati e accontentati. Per questo motivo il poeta impegnò molte delle sue energie nella redazione di cataloghi. Li scrisse con una tale cura che divennero ben presto dei veri e propri libri di culto. Essi erano apprezzati dai clienti allo stesso livello dei loro acquisti. Rilegati con cura, quello che trasmettevano non era tanto la volontà di far conoscere le varie disponibilità della libreria ma trasmettere al lettore quanta bellezza ci possa essere nel contenuto e nell’aspetto esteriore di un libro.
Umberto Saba, aiutato da vari amici e soci, s’impegnò nel lavoro in libreria con grande serietà, pur non tralasciando mai la scrittura dei versi. Quando il lavoro si fece più impegnativo Saba decise di assumere una commessa. La prima fu Paolina, quella che rimase più a lungo fu Giulia, ma il ruolo di queste ragazze fu sempre secondario a quello del poeta. Preoccupato dalla mole del lavoro e dal corso drammatico che stavano prendendo gli eventi storici, Umberto Saba decise di assumere un uomo che, una volta formato a dovere, avrebbe potuto alleviare le sue fatiche di lavoro e lasciargli il tempo da dedicare ai suoi versi. Fu scelto Carlo Cerne, detto Carletto, un ragazzo di umili origini. Egli diventerà il commesso più famoso di Trieste e utilizzerà tutto il suo buon senso per gestire un lavoro così complesso soprattutto per la relazione con il principale, uomo dotato di un carattere non facile.
Carletto non abbandonò mai la libreria fino alla sua morte e guardò da lì gli eventi storici drammatici di quegli anni. Rimase in libreria quando nel 1931 Saba andò a Parigi a cercare alcuni volumi da comprare. Era sempre lì quando il poeta tornò nella capitale francese nel 1938, pensando a un eventuale trasferimento, dopo l’applicazione delle leggi razziali. Il rapporto tra i due era basato su una fiducia reciproca senza limiti e per questo dopo l’8 settembre Saba, costretto a nascondersi, gli affida la gestione della libreria. Sono anni difficili ma Carletto è una certezza, nelle sue mani la libreria avrebbe sempre mantenuto la sua identità di luogo ricco di memoria. Rilevata anche la parte della figlia di Umberto Saba, Linuccia, alla sua morte Carletto Cerne lascerà l’eredità al figlio Mario che con impegno continua a portare avanti questo importante compito. Dopo aver letto il libro “La libreria del poeta”ho realizzato di aver conosciuto Mario Cerne, figlio di Carletto, il commesso di Umberto Saba. Lui mi ha accolto quando sono entrata in libreria e mi ha venduto il libro di cui ho parlato.