August 3, 2024
"UN ANNO SOTTOTERRA", LA STORIA DI GIAMPIERO PINNA PUBBLICATA DA LOW EDIZIONI

A Piacenza, la mia città, è nata da poco Low Edizioni, una Casa Editrice che spicca per originalità di contenuti. Il responsabile Giovanni Battista Menzani, la presenta sul sito con queste parole.

Cercavamo una cosa che avesse a che fare con una voce che arriva dal basso, una voce non urlata, ma forte e gentile. Il nome era inizialmente provvisorio, poi ci siamo affezionati: e adesso ci piace. Perché veniamo tutti da terre basse, ovvero dalla grande Pianura Padana. Abbiamo un desiderio di tornare alle storie, anche quelle sbilenche, asimmetriche radicali, poco mainstream.

E sicuramente dal basso arriva la storia del libro di cui sto per parlare.

Un anno sottoterra scritto da Daniela Palumbo e Andrea Mattei è la storia di Giampiero Pinna, un uomo che farei rientrare nella ricca tradizione di rivoluzionari nati in Sardegna.

Giampiero Pinna era figlio di un minatore e viveva a Campo Romano, un piccolo villaggio vicino a Iglesias, composto da tante case piccole, tutte uguali, che i minatori allargavano poco per volta recuperando i materiali riciclati della miniera. Le famiglie di questo villaggio portavano avanti la loro vita nella povertà e le loro giornate erano scadenzate dal suono delle sirene. La sirena corta annunciava l’inizio e la fine dei lavori ma la sirena lunga era la più triste e la più temuta perché annunciava un incidente avvenuto sottoterra.

Vita e morte, lavoro e famiglia, le nostre esistenze procedevano con quel suono sullo sfondo, colonna sonora di un popolo.

La vita per i minatori era un inferno non solo per loro. Era durissima anche per le loro famiglie.

Gli uomini si spaccavano la schiena lì dentro a cinquanta cento metri sotto il livello del mare, quattordici, sedici ore al giorno, senza neanche poter dire una parola di conforto al compagno di sventura, pena multe e punizioni, e se qualcuno moriva per sfinimento, un altro volava giù dalla scogliera.

Le donne fuori sul piazzale a fare le cernitrici, separare col martello il minerale dalla roccia che lo conteneva. Accanto a loro una cesta, i figli appena nati, perché una settimana dopo il parto la donna tornava al lavoro. E poi quei bambini, già a 5 anni, affiancavano le madri nel loro stesso lavoro, però con piccoli martelli fatti su misura per loro.

Giampiero Pinna era uno di loro. Inizia a lavorare come minatore ma continua a studiare perché aveva ben presente che lo studio sarebbe stata la sola arma di riscatto possibile. È anche uomo di idee. Si avvicina prima al Partito Comunista per poi abbracciare l’area più cattolica, diventando uno dei primi cattocomunisti. La sua priorità in questa crescita era sempre il bene della sua gente.

Per lui i turni massacranti a cui la sua gente doveva soccombere, i salari da fame con cui erano costretti a vivere, i frequenti incidenti nelle gallerie sottoterra che a volte pagavano con la vita, dovevano finire. Voleva migliorare la loro vita e invertire tutta la tendenza di un’epoca.

Ma non si può prevedere e controllare tutto. Le miniere, che avevano dato lavoro e sostegno per anni, si stavano esaurendo provocando disoccupazione e povertà per molte persone. Giampiero Pinna colse il cambiamento in atto, con altri portò avanti una proposta innovativa e creativa, un progetto che avrebbe dato lavoro a centinaia di persone: la creazione di un parco geominerario. Il parco avrebbe dovuto riconvertire il territorio e proteggere un patrimonio immenso e straordinario della zona. Una zona, quella dell’iglesiente, ricchissima dei più diversi elementi geologici. E soprattutto il parco avrebbe dovuto ridare una vita a quei siti minerari che si trovavano in condizioni di immenso degrado. Purtroppo, come spesso accade in Italia, la burocrazia e i giochi di palazzo impedirono la realizzazione.

Giampiero Pinna non si arrese. Si assunse in prima persona la responsabilità di un’azione forte, al di fuori dei metodi classici della politica, per smuovere le acque il più velocemente possibile .

Solo un’azione forte poteva provare a dare una scossa, un gesto eclatante che pure non avesse cambiato il corso degli eventi avrebbe almeno messo a tacere la mia inquietudine, sopito quel senso d'impotenza e placato la rabbia. Avrebbe ancora dato un senso alla nostra battaglia.

Il 5 novembre 2000 la vita di Giampiero Pinna e di tutta la sua comunità cambiò prendendo una direzione dalla quale non vorrà più tornare indietro. Decise di occupare la miniera. Andare sotto, trovare un luogo adatto dove portare le sue cose, vivere lì e non uscire più fino a quando la situazione non si sarebbe sbloccata. Era ben cosciente che tante erano le incognite che avrebbe dovuto affrontare e la più grande di tutte era quella sul tempo che ci sarebbe voluto.

Tante erano le domande nella sua testa. Che cosa avrebbe fatto tutto quel tempo da solo sottoterra? In che modo avrebbe risolto i piccoli problemi quotidiani? Avrebbe sofferto di solitudine? L’aria malsana e la mancanza di luce lo avrebbero fatto ammalare? Che risonanza avrebbe avuto il suo gesto nel mondo esterno?

Ben presto si rese conto che anche se fisicamente era  lontano da tutti,  non era solo. La sua lotta non rimase solitaria ma divenne ben presto la lotta di tutta una comunità.

E le voci più belle di questa comunità sono presenti nel libro di Daniela Palumbo e Andrea Mattei. Nei vari capitoli parlano in prima persona e danno il loro punto di vista completando il racconto. Bella è la voce di Celestina Sanna che, nonostante le sfortunate e umili origini, riuscì a diplomarsi, a vincere il concorso al comune di Iglesias, diventare archivista e portare alla cultura della sua terra una consapevolezza nuova e coinvolgente.

io volevo che l’archivio della città parlasse, dialogasse con la vita delle genti di Iglesias, attraverso la sua storia.

Forse la voce più emozionante e coinvolgente è quella di Caterina Melis che racconta la storia della madre, Rosina Carta, una donna che fin da bambina lavorava come cernitrice. Una vita,  quella di Rosina Carta, fatta di violenza, di sacrificio, di povertà e di sentimenti non sempre buoni ma umani. Lei fu una delle più grandi sostenitrici di Giampiero Pinna e, per aiutarlo, all’età di 88 anni, organizzò l’occupazione di Porto Flavia. Un fatto che ebbe una grande risonanza perché fu la prima occupazione femminile delle miniere.

La Sardegna è senza dubbio una delle isole più belle e affascinanti d’Italia, ma non tra le più ricche. Una regione che ha avuto per anni un’economia basata principalmente sull’ estrazione mineraria. E quando queste potenzialità si sono esaurite, si è cercato di trovare nuovi modi per incrementare l’economia. Oggi senza dubbio il turismo ha il ruolo principale. Giampiero Pinna è stato sicuramente un profondo conoscitore del suo territorio che ha provato a trovare delle strade nuove, creative e visionarie, verso un cambiamento necessario.

In conclusione che cosa ha lasciato effettivamente alla sua gente?

Ecco che la voce di Teresa Piras, insegnante e amica di Mimma, la moglie di Giampiero Pinna, lo spiega in modo chiaro ed esauriente.

Il parco geominerario era questo in fondo: un finale che rendeva accettabile la fine di un’epoca controversa dove noi sardi eravamo i vinti. I vincitori erano scappati con il bottino. Oggi su quel territorio scorre il Cammino minerario di Santa Barbara. Il progetto sta crescendo e ripercorre le tappe della storia del nostro territorio. Camminando si incontrano le miniere e le si visitano per conoscere la storia di quegli uomini.

 

Alla prossima lettura

 

Paola