Con la sua ultima pubblicazione, La Guardarobiera, Patrick McGrath , continua il suo lavoro di ricerca nella mente umana, delineando i limiti tra razionalità e la follia. Questo è un argomento che conosce molto bene perché, figlio di uno psichiatra, ha sempre vissuto a stretto contatto con i malati ricoverati in manicomio e ha sempre considerato la malattia mentale uno dei tanti aspetti della vita umana.
Nel 1947, in una Londra, grigia, fredda, nevosa; una Londra profondamente segnata dalla guerra, piena di macerie, vive Joan Griece, direttrice di un guardaroba di costumi in un teatro della città. Joan è una bellissima donna: alta, longilinea ma austera. Non ride mai, anche perché si vergogna, forse inconsciamente, di un difetto fisico: non ha mai curato i suoi denti e ora sono tutti marci. Inaspettatamente un immenso dolore la colpisce: suo marito, Charlie Griece detto Gricey, attore istrionico molto conosciuto e apprezzato da tutti, muore. Joan perde quella parte della sua vita che è il matrimonio, durato, tra alti e bassi, ben ventisette anni. E’ difficile andare avanti da sola. Joan, la guardarobiera, è arrabbiata, spaventata e distrutta ma non può abbandonare il suo lavoro, a teatro, tutto deve comunque funzionare.
La separazione è traumatica, soprattutto se è improvvisa, come in questo caso. Joan, la guardarobiera, sa che Gricey è morto ma sente la sua voce, il suo odore, sente la sua presenza e lo vede in Frank, l’attore che lo sostituisce nel suo ruolo teatrale, quello di Malvolio della Dodicesima Notte. Frank recita allo stesso modo di Gricey e la fa emozionare; inizia così a considerarlo un dibbuk che, nella tradizione ebraica, è uno spirito maligno o un’anima in grado di possedere altri esseri viventi; altre volte, più semplicemente, pensa che sia il recipiente dello spirito di Gricey.
La vita, si dice in questi casi, deve continuare. Joan pedala nel freddo per tutta Londra, da una parte all’altra, da casa sua a Mile End, va al teatro, in centro, poi a casa della figlia Vera, talentuosa attrice teatrale, a Pimplico. Intanto la sua amicizia con Frank è sempre più intima fino a diventare una vera e propria relazione sessuale. Joan si rende conto di avere bisogno di lui e Frank rimane incantato dal suo fascino e si lascia accudire. Lei lo veste, regalandogli i vestiti del marito defunto, e lo nutre.
Ma questo libro non è solo una storia d’amore e di distacco, è anche una storia con risvolti psicologici torbidi e raccapriccianti. Nel guardaroba di Gricey, dove Joan entra spesso per scegliere i vestiti da regalare a Frank e per sentire la presenza del marito, trova una spilla che testimonia l’altra faccia dell’uomo che aveva amato: una spilla con sopra un fulmine bianco su uno sfondo blu. Lei, ebrea, aveva sposato un uomo che aveva aderito ai gruppi fascisti che si riunivano a Londra vagheggiando un ritorno a tutto ciò contro cui si era combattuto con tanto dolore durante la guerra.
Patrick McGrath ricorda questa triste pagina della storia inglese, molto importante ma conosciuta da pochi. I fascisti inglesi erano uomini che durante la guerra erano stati rinchiusi in prigione. Ritornati alla pace erano stati rilasciati e cercavano di riorganizzarsi radunandosi nelle piazze; queste riunioni erano causa quasi sempre di disordini pubblici .
Come poteva aver avuto una doppia vita?Perché non se n’era mai accorta?
Scoprire questa seconda faccia del marito è destabilizzante per Joan. Per lei ora lui è uno sconosciuto. Che cosa deve piangere ora? Una maschera? Tutto il suo mondo crolla: non sa più chi è suo marito ma continua a sentire la sua presenza e spesso lo vede, il trauma della guerra e in modo particolare l’antisemitismo riaffiorano, sono ancora molto vivi. A tutto ciò si aggiunge il fatto che sua figlia Vera recita con Frank che non torna più da lei la sera dopo teatro e per sopportare tutto ciò beve tanto gin che annebbia i suoi pensieri.
Il teatro è una presenza determinante della storia, come lo è sempre stato nella società inglese. Nella prima parte è citata la Dodicesima Notte di William Shakespeare, poi nella seconda parte Vera e Frank si preparano per rappresentare La duchessa di Amalfi di John Webster. Vera è una brava attrice teatrale che conosce molto bene il lavoro indispensabile che un attore deve compiere su di sé per entrare nella parte. È cosciente che per diventare una donna diversa avrebbe dovuto sottoporsi a una dura disciplina: andare a letto presto, riposarsi, concentrarsi senza distrazioni sul lavoro, avere la testa sgombra, proteggersi la salute, in modo particolare la voce ed essere serena. Il mestiere dell’attore è un mestiere molto duro e bisogna lavorare senza sosta per raggiungere l’obiettivo più ambito: abbandonare il testo scritto e diventare parte della realtà che si vuole raccontare, in questo caso la realtà di Webster.
Mentre Vera è impegnata nella sua trasformazione artistica, Joan sprofonda sempre di più nel tunnel. Cambia, non solo psicologicamente ma anche fisicamente. È sempre più magra e sempre più dura, si sente più ragazzo che donna. I suoi movimenti ora sono molto veloci e fulminei, nei suoi occhi risplende una luce folle, lo sguardo il più delle volte è fisso. Non riesce a elaborare un lutto così complicato e la sua situazione generale si allontana sempre di più dalla normalità. È una donna ossessionata ora e molto vicino al crollo nervoso.
La guardarobiera è raccontato da un coro, una specie di variazione del coro greco, che a volte interviene nella narrazione per commentare l’andamento dei fatti. È una scelta casuale che l’autore ha utilizzato per sottolineare la teatralità della storia. Fin dalle prime pagine la storia di Joan, la guardarobiera, mi ha molto appassionato e ha catturato il mio interesse fino all’ultima parola scritta. Mi ha affascinato soprattutto la gradualità con cui questa donna ha abbandonato la razionalità per lasciarsi andare a un sentimento sempre più malato, senza considerare pericoli , fino ad approdare inevitabilmente alla tragedia.La guardarobiera è pubblicato dalla Nave di Teseo.