Nel suo ultimo romanzo, Le cose che bruciano,Michele Serra è riuscito a cogliere un momento particolare della vita che molti, me compresa, hanno vissuto. È il momento in cui si dice basta e, nauseati dallo stile di vita assunto fino a quel momento, si cambia alla ricerca di qualcosa che ci migliori. Spesso ciò avviene grazie al corpo che dà dei segnali visibili e dolorosi e ci costringe a fermarci e aprirci al cambiamento. Il desiderio che ci spinge è quello di toglierci i pesi e cose dalle spalle che si sono accumulati nel tempo e la voglia di essere più leggeri.
La storia è narrata in prima persona da Attilio Campi, protagonista di Le cose che bruciano. È una storia molto coinvolgente perché è contemporanea e di facile identificazione. Attilio Campi è un politico in carriera che vive una vita ad alta visibilità ma commette l’errore di proporre una legge che riguarda la reintroduzione dell’uniforme obbligatoria nelle scuole pubbliche. Proposta che viene bocciata perché considerata troppo anacronistica. Come conseguenza lui è costretto a dimettersi. Giustifica la sua presa di posizione con queste parole:
Se avevo proposto l’uniforme per gli studenti era per rimediare al quella forma subdola di banalità che è l’anticonformismo. Mettiti addosso questa e per un po’ non devi perdere tempo a distinguerti a tutti i costi, puoi pensare a chi sei e non a chi vorresti diventare, non a quale felpa metterti.
Il rumore che ne consegue sui social è talmente forte che lui stesso ne viene fagocitato; il suo corpo inizia a gonfiarsi fino al momento in cui decide di mollare e liberarsi da tutto ciò che di negativo aveva accumulato dentro.
Fu una delle prime volte che considerai il corpo più intelligente dell’anima. Il mio corpo mi soccorse e il mio corpo mi salvò.
Attilio Campi decide di allontanarsi da tutte queste cose e di vivere in un paese isolato chiamato Roccapane. Le sue giornate ora trascorrono con un ritmo del tutto differente, è il ritmo del duro lavoro in campagna che, anche se faticoso fisicamente, all’ età di 48 anni riesce ancora a sopportare con dignità. I rumori e i suoni in mezzo ai quali vive sono quelli della natura che l’autore descrive e cita con passione e con la competenza di chi ha osservato queste cose e studiato con attenzione la materia.
Io invece, da quando sono quassù, di sola materia riesco a vivere. La consistenza delle persone e delle cose, degli animali e degli alberi, la loro luce, il loro odore, il suono che fanno al vento… Del mondo voglio capire solo queste cose.
Nel lungo monologo in cui parla di sé Attilio Campi scava e cerca di capirsi. Non disprezza la vita lasciata e guarda con rispetto tutti coloro che sono rimasti.
Non ho niente contro quegli uomini in cravatta e quelle donne in tailleur. Al contrario ne ammiro la disponibilità e lo spirito di sacrificio. La sete di potere e la vanità sono un motore potente ma il peso dell’esibizione è spaventoso, e quando a notte fonda appoggi quelle cravatte e quei tailleur sulla sedia accanto al letto ti rendi conto che sono solo poveri stracci di rappresentanza. Tali e quali le braghe bucate e sporche di letame di Severino.
Nel suo raccontare, nel suo scavare, Attilio Campi si rende conto che a un certo punto della sua vita si è trasformato in un "imbuto". Raccoglie tutto, non butta mai via niente. Accumula oggetti e cose, oggetti e cose che testimoniano vite passate, oggetti e cose che arrivano nella sua vita e lui è totalmente incapace guardarli con spirito critico e separare quelli di valore da quelli che sono solo di impaccio. “Ci penserò dopo”. Continua a ripetersi, e poi lascia tutto lì.
Si sente responsabile verso tutti gli oggetti.
E nella sua mente si fa strada l’idea che l’unico modo per risolvere il problema potrebbe essere bruciare tutte quelle cose, fare un rogo, un rogo ben organizzato e razionale. Un rogo liberatorio che potesse mettere in pace tutto il mondo.
Bruciare tutto e nel fumo che sale al cielo vedrò danzare la mia libertà.
Attorno ad Attilio Campi vediamo personaggi ben delineati dall’autore, ben inseriti nel contesto, personaggi che facilmente si possono incontrare in paesino isolato come Roccapane. Il più interessante è senza dubbio il cugino prealpino di Jhon Carradine, soprannominato Beppe Carradine, un predicatore religioso porta a porta con una forte parlata delle montagne lombarde. Impacciato svolge il suo ruolo con poca preparazione verso i temi religiosi diventando preda fin troppo facile per Attilio Campi. Particolarmente positive sono le tre figure femminili. Maria la moglie è un ingegnere in carriera che continua a lavorare viaggiando per il mondo. Quando non viaggia sta con suo marito a Roccapane e legge libri. È un sostegno per Attilio sia umano che economico.
Un matrimonio solido, direi, a dispetto delle apparenze. Molto rarefatto ma solido.
Lucrezia, la sorella, è bella, fortunata e particolarmente invidiata da Attilio Campi perché possiede quella leggerezza nell’affrontare la vita che a lui manca. E infine c’è la Bulgara, moglie di Severino, il suo vicino di casa, una donna forte che non si tira mai indietro davanti ai lavori più pesanti. La Bulgara, insieme al marito Severino, sono i suoi nuovi maestri di vita. La vita di Attilio Campi prosegue nella ritualità delle scadenze della campagna tra pranzi, il susseguirsi delle giornate e l’alternarsi delle stagioni. Probabilmente però, leggendo, ci si rende conto che non si può scappare da ciò che siamo stati. La sua vita passata non può essere dimenticata e ritorna improvvisamente in un finale ben congeniato dall’autore che conclude la storia e rende nell’insieme Le cose che bruciano una piacevole lettura da consigliare.