La grandezza dei libri di Abraham Yehoshua sta nel fatto che, leggendoli, anche se sono profondamente legati all’identità israeliana o ambientati in tempi lontani, ci portano inevitabilmente a trovare momenti di identificazione.
La figlia unica, pubblicato da Einaudi, è il suo ultimo romanzo, uscito qualche mese fa, scritto con il desiderio di dare un ultimo saluto ai suoi lettori dopo essere stato colpito per la seconda volta da una malattia di difficile guarigione.
È la storia di Rachele Luzzato, un’adolescente di 12 anni, che vive in una città di provincia del nord Italia, di famiglia ricca, ebraica anche se non particolarmente osservante.
Come recita il titolo, Rachele è figlia unica, non ha né fratelli né sorelle e ha difficoltà a comunicare con i suoi coetanei. È una ragazza bella, intelligente, molto responsabile e autonoma ma anche decisamente sola. Il suo mondo è fatto prevalentemente di persone adulte: i nonni, i genitori, l’autista sempre a disposizione che la conduce nei suoi spostamenti e una ex insegnante particolarmente sensibile. Con i suoi coetanei ha difficoltà di relazione, ma lei li osserva con la stessa curiosità con cui guarda tutto il mondo che la circonda.
Il suo futuro è già stato scritto: è figlia e nipote di affermati avvocati e quindi negli anni a venire dovrà intraprendere la medesima strada. Ma lei non è convinta, non ha ancora deciso.
Fantastico – esclama nel vedere la nipote dietro la scrivania. – Sei nel posto giusto. Anche tu ti laureerai in giurisprudenza, e porterai avanti questo studio quando io e tuo padre non ci saremo più.
Le relazioni familiari sono argomento di grande interesse per Abraham Yehoshua, argomento sviluppato anche nei romanzi precedenti. La routine quotidiana della famiglia Luzzato è sconvolta da un evento tragico. Il padre di Rachele viene colpito da un - non detto apertamente - tumore al cervello. Nonostante il benessere economico, le conoscenze e tutte le possibilità di poter affrontare il problema nel migliore dei modi, la loro vita cambia.
Rachele guarda e osserva ciò che accade esprimendo osservazioni proprie di una persona adulta ma che, se analizzate in profondità, esprimono allo stesso tempo tutte le fragilità tipiche di una ragazza della sua età.
Sin dall’incipit, bello e coinvolgente come in tutti gli altri romanzi di Abraham Yehoshua, si comprende che il romanzo è un atto d’amore verso l’Italia, nazione a cui è particolarmente legato. In modo particolare questo amore si esprime con un tributo a un autore Edmondo De Amicis e al suo famosissimo libro Cuore, libro che ha commosso milioni di persone, e accompagnato nella crescita tanti bambini.
Ma la professoressa Emilia Gironi, che ha sostituito per un anno un’altra insegnante in maternità ed è oggi al suo ultimo giorno di lavoro, è ben decisa a non lasciare liberi i suoi alunni se non dopo aver finito di riversare in loro lo spirito candido e umanitario di Edmondo De Amicis.
La famiglia di Rachele, come ho già accennato prima è ebrea ma non particolarmente attiva dal punto di vista religioso. L’autore li osserva e sembra guardarli da lontano con occhio realista e contemporaneo, a volte anche scettico e ironico. È una famiglia con matrimoni falliti e persone che cambiano religione per amore.
Ma quando, all’inizio della narrazione, a scuola offrono alla ragazza di impersonare il ruolo della Madonna nella recita natalizia, il padre interviene con decisione e nega il permesso.
Avete già fatto fuori abbastanza ebrei, evitate di portarci via anche quei pochi rimasti.
Ne esce fuori l’incontrollabile eccesso di memoria di cui tante persone soffrono e di cui tanto spesso ha parlato Abraham Yehoshua nei suoi romanzi e nelle sue conferenze, ovvero l’incapacità di superare e perdonare i torti subiti, malattia di cui soffrono non solo gli arabi e gli israeliani ma anche tante altre persone al mondo.
Il romanzo esprime la grande capacità letteraria dell’autore che con naturalezza si è calato nella personalità di una dodicenne cartterizzata da dubbi e continue domande tipiche di una persona che si sta aprendo alla vita. È una storia che ti cattura con dolcezza ma è anche una storia intima, che arriva all’anima in formazione di Rachele. È un libro che può anche essere una guida verso un percorso interiore anche per la lettrice o il lettore.
Abraham Yehoshua appartiene a quella che viene definita la New Wave Israeliana, quegli scrittori che, negli anni settanta prestavano più attenzione agli approfondimenti psicologici dei personaggi e davano meno importanza, pur senza tralasciarle, alle questioni politiche e religiose. Insieme ad Asmoz Oz e David Grossman , è considerato uno degli scrittori israeliani più conosciuti al mondo, soprattutto in Italia. Insieme a loro ha cercato di abbinare l’impegno politico analizzando quello che stava succedendo nel suo paese e cercando di proporre possibili soluzioni, con quello letterario, laureandosi prima in Lettere e Filosofia all’università di Gerusalemme e poi iniziando a scrivere fino ad arrivare alla fama internazionale nel 1977 con il romanzo L’amante.
Era un uomo particolarmente attivo, curioso ed entusiasta della vita in tutti i suoi aspetti, era soprattutto un uomo colto di grandissima sensibilità e creatività capace di portare il lettore sia in luoghi contemporanei, anche un po’ banali e autentici, ma anche in luoghi lontani nel tempo, surreali e assurdi.
Al centro della sue narrazioni ci sono sempre i suoi personaggi ben delineati, veri ma assolutamente fragili, deboli e pieni di difetti perchè umani. Personaggi che non sono mai soli perché sempre inseriti in una rete sociale che ha come nucleo base la famiglia.
La famiglia tenuta insieme dal matrimonio, istituzione in cui crede fermamente, è per Abraham Yeoshua la base della società; matrimonio che può reggere solo se paritario e solo se lo si considera un continuo workin progress da costruire ogni giorno.
La terra di Israele non è solo uno sfondo per le sue storie ma è una dei protagonisti più importanti. Israele, dilaniata da sempre da continui conflitti, è il luogo a cui lui guarda non con disperazione ma con una mai abbandonata speranza e che deve diventare per lui il simbolo di una pace sempre possibile.
Abahram Yehoshua è morto il 14 gennaio 2022 all’età di ottantacinque anni, lasciando un vuoto incolmabile nella letteratura mondiale ma lasciando anche un patrimonio ricchissimo di storie, personaggi e pensieri che testimoniano che la potenza della scrittura e della creatività possano veramente creare un mondo migliore.
Alla prossima lettura
Paola