Ho invitato Riccardo Luraschi, autore del libro Il faraone pubblicato da Castelvecchi, ad uno degli incontri che tengo mensilmente alla Galleria Biffi Arte, nel centro storico della mia città, Piacenza, per parlare di scrittura creativa e letteratura.
Come mai in Italia ci sono sempre più persone che scrivono e i lettori continuano a diminuire?
È un fenomeno che secondo me ha a che fare con il narcisismo.
Gli scrittori parlano sempre di sé anche quando parlano di altro, anche quando raccontano una storia, anche se la storia è lontanissima dal tempo in cui vivono.
Gli scrittori sono narcisisti e, massima gratificazione per un narcisista, è poi vedersi pubblicato, vedere il proprio nome sui giornali e la foto sulla copertina del libro.
Che in Italia si legga poco è un fatto assodato e questo non so francamente da cosa dipenda.
Io penso comunque che chi inizia a scrivere un romanzo si propone un compito enorme che è quello di creare un mondo. Che poi ci si riesca o meno questo dipende dal talento, dall’applicazione e da tanti altri fattori.
Poi ci sono scrittori grandissimi che creano mondi in cui vorresti vivere sempre. A volte, finito un romanzo, ti senti perso, vorresti che continuasse ancora, non vuoi abbandonarlo. Per altri questa operazione non riesce.
Ma come si crea questo mondo?
Questo mondo si crea sognandolo, scrivere è sognare, scrivere è un sogno ad occhi aperti.
Quando scrivi inizi a pensare, vedi le cose e le trascrivi.
È un processo più legato all’immaginazione o all’invenzione?
Per quanto mi riguarda posso dire che il romanzo Il faraone è nato da un’immagine: la torre delle televisioni di Cologno Monzese. La torre che di notte risplende e che una volta era “coronata” dai loghi di Rete 4 e Canale 5. Soprattutto di notte la torre era un’immagine abbastanza impressionante: sembrava proprio che irradiasse sulla Pianura Padana e su tutta l’Italia un’idea di potere, di dominio.
Il mio racconto nasce da questa immagine, ma questa immagine si innesta su una serie di pensieri, di sentimenti, di emozioni sedimentate nel tempo a formare un materiale psichico informe che trova la sua forma e la sua espressione nel romanzo.
Questo è ciò che succede sempre, per tutti gli scrittori, i grandissimi, i meno grandi, i bravissimi, i meno bravi.
Il romanzo è l’espressione di un materiale psichico che vive dentro lo scrittore, quindi il romanzo è lo scrittore. Il romanzo è l’uomo.
Il romanzo ha significato perché dietro c’è una mente da cui è uscito. Faccio un esempio: pensate se tra venti, trenta, cinquant’anni creassero un computer capace di scrivere romanzi. Magari ci arriveremo, non so. Questo super computer potrà scrivere un romanzo meraviglioso, ma che significato avrebbe? Che interesse avrebbe un romanzo scritto da una macchina? Potresti leggerlo con piacere però non avrebbe il significato che ha qualunque romanzo scritto da una persona perché il romanzo è la persona che lo scrive. Il romanzo è lo scrittore.
“Per me il libro è l’uomo e il mio libro è l’uomo che io sono”, scriveva Henry Miller.
Quanto è importante la lettura per arrivare alla scrittura e quindi alla creazione dello stile cioè della voce dell’autore?
Io penso che non ci siano scrittori che prima non siano stati lettori, questo perché nessuno scrittore nasce dal nulla. Ha sempre dietro di sé una tradizione, degli antecedenti a cui si rifà consciamente o inconsciamente.
Leggere è fondamentale ed è come un’infezione. Leggi e sei contaminato e ti viene voglia di scrivere.
Quando leggo certi scrittori mi viene voglia di scrivere, allora capisco che quelli sono gliscrittori giusti per me. Per esempio, per quanto mi riguarda, Manzoni, Gadda, il Macchiavelli de Il principe. Ma anche Stendhal.Quando leggo la sua prosa così rapida leggera, quasi mozartiana, c’è subito la tentazione di andare a scrivere.
Quella scrittura fa risuonare qualcosa dentro di me.
Poi ci sono altr iscrittori che mi piacciono tantissimo ma non mi stimolano così tanto. Mi piacetantissimo Tolstoji ma non mi favenire voglia di scrivere; piuttosto, mi fa venir voglia di smettere di scrivere, perché penso che non potrò mai essere così bravo!
Anche in questo caso possiamo dire che è qualcosa che ha a che fare con risonanze profonde.
La letteratura infatti è stile e lo stile è l’espressione dell’inconscio dell’autore.
Che sia consapevole, elaborato, o più istintivo, lo stile viene dal profondo. Io forse sono un’estremista dello stile, ma credo effettivamente che la letteratura e l’arte in generale siano stile. Il cosiddetto contenuto è meno importante. O meglio: stile e contenuto si tengono assieme, diventano una cosa sola, ma è dallo stile che comincia tutto.
In questa certezza sono in buona compagnia perché Flaubert, un grande del realismo Ottocentesco, in una sua lettera scrive questo:
"Quel che mi pare bello e che vorrei scrivere è un libro su niente, senza appigli esteriori, che si tenesse su da solo per la forza estrinseca dello stile, come la terra si regge in aria senza bisogno di sostegno. Un libro quasi senza soggetto o almeno il cui soggetto fosse, se possibile, quasi invisibile. Le opere più belle sono quelle in cui c’è meno materia; più l’espressione si adegua al pensiero, più la parola vi aderisce e scompare e più si attinge la bellezza. Credo che l’avvenire dell’arte sia su queste vie.”
È come se Flaubert prefigurasse una letteratura completamente astratta, senza storia. Solo puro stile.
Questo è naturalmente un estremo, un paradosso.
Anche un altro scrittore,lontanissimo da Flaubert, francese anche lui, Celine, si definisce uno stilista.
In una delirante intervista televisiva registrata nel ’59 e nel ’60 sostiene che l’esercito nazista era un fattore di ordine e pace in Europa, aggiungendo anche affermazioni assurde sugli ebrei perché lui era un frenetico antisemita. Ma dice anche delle cose molto interessanti sulla letteratura, sostenendo di essere uno stilista, un “colorista di certi fatti”.
È una cosa difficile lo stile, mantenere una tensione stilistica per 400 o 500 pagine richiede una fatica enorme, non la finisci mai di rivedere … Ma il mestiere dell’autore è nascondere al lettore la fatica. Tu metti il lettore sul piroscafo con i cocktail e la brezza fresca e quello si diverte e non deve sapere ciò che accade nella stiva… Nella creazione di un romanzo lo stile è essenziale.
Io sono particolarmente soddisfatto della riuscita de Il faraone perché, senza ovviamente volermi paragonare a Celine, la tensione stilistica dall’inizio alla fine è costante. Lo stile de Il faraone è unitario, pur mantenendo differenti registri.
Non si può pensare discrivere un romanzo senza stile. Tutti gli scrittori, anche quelli che dicono di non essere interessati allo stile, hanno pur sempre uno stile.
Come si crea un personaggio letterario?
I personaggi di un romanzo escono tutti dall’emozione e dalle nevrosi di chi scrive. Come nascono francamente non lo so.
Sicuramente l’autore sogna i suoi personaggi e poi loro vivono da soli, vanno avanti da soli. Ed è questo, nella scrittura, un momento molto bello perché è come se la narrazione procedesse per conto suo.
I personaggi vivono nel romanzo, dove vige l’ordine e tutto torna, dove gli elementi sono in relazione tra loro; si muovono insomma in un mondo ben diverso dalla realtà, dove invece regna il caos.
Il piacere di creare un mondo nasce per chi scrive dal desiderio di risolvere il caos della realtà. E per il lettore è un gran piacere entrare in un mondo che “si tiene”, che ha un senso ed è sottoposto a un ordine. Anche quando, come ad esempio nell’Ulisse di Joyce, la narrazione scompare, sommersa dal caotico flusso di coscienza, c’è un ordine.
L’uomo non può fare a meno di cercare un senso nel caos della vita. E nella letteratura, soprattutto la grande letteratura, lo trova.
La letteratura è uno specchio della vita, ma è uno specchio che ha senso, un riflesso che ha senso.
Quali sono i mezzi tecnici per tenere il lettore legato alla storia?
Si, nella scrittura c’è la tecnica ma io non le darei tanta importanza, secondo me conta molto di più l’autenticità. Comunque gli espedienti esistono.
Mi spiego meglio. Se parliamo di grande letteratura, più che la tecnica è importante l’autenticità, che riguarda ciò che viene dal profondo; il libro allora è il riflesso della mente dello scrittore.
Più l’autore è grande, piùl’autore è un’artista, più tu in questo mondo ti ci rispecchi anche senza bisogno di raffinati espedienti tecnici.
Riassumere la trama de Laricerca del tempo perduto è problematico, la narrazione di Proust è tutto fuorché spettacolare o avvincente, non ci sono espedienti tecnici deliberati per conquistare il lettore, per “adescarlo”. Però quella di Proust è una forma d’arte irraggiungibile.
L’artista, insomma, è anche quello che non ha bisogno degli espedienti tecnici.
Dove sta andando oggi la letteratura impegnata?
L’unico impegno che ha los crittore è con la propria arte, con la propria scrittura. Credo che se loscrittore si propone fin dall’inizio di scrivere un libro su un certo argomento perché vuole essere edificante o politicamente “à la page”, o perché vuole convincere il lettore di certe sue idee, scriverà un libro mediocre. Lo scrittore deve dare retta solo al proprio istinto. Le idee politiche, le convinzioni, le convenzioni sociali, secondo me, non contano niente.
Faccio un esempio. DavidCoperfield, romanzo straordinario, ci mostra un Dickens bigotto, completamente imbevuto di tutte le convenzioni dell’età vittoriana. Nel romanzo, tra l’altro, si narra di una povera ragazza che viene sedotta da un mascalzone, sfortunata quindi; alla fine l’autore, in ossequio alle ipocrite e repressive convenzioni vittoriane, la “punisce” e la fa emigrare in Australia. In epoca vittoriana, infatti, una ragazza che veniva sedotta prima del matrimonio, anche se era stata raggirata, doveva comunque pagare la propria “colpa”.
Nonostante ciò il romanzo è un capolavoro perché l’essenza d’artista di Dickens pesca talmente più nel profondo rispetto alle sue idee, alle sue convinzioni, e ai suoi tabù legati all’epoca, che quasi non ci accorgiamo del suo conformismo.
Questo perché il vero artista è più grande delle sue idee politiche e delle sue convinzioni.
Ho parlato prima di Celine. Lui ha scritto un libro che è Bagatelle per un massacro. È un libro che presenta idee disgustose, imbevuto dei peggiori e più stupidi pregiudizi antisemiti. Però è l’opera di un artista. Bisogna accettare l’idea che un artista possa anche essere un uomo dalle idee raccapriccianti e ributtanti, ad esempio Celine.
C’è qualcosa che sta ancora più nel profondo delle tue idee politiche ed è qualcosa che, se sei un’artista, viene fuori nella tua opera.
Ringrazio infinitamente Riccardo Luraschi che ha così generosamente risposto alle mie domande e gli chiedo come desidera concludere questo interessantissimo incontro.
Per concludere io leggerei le ultime parole che Virginia Woolf ha scritto nel suo diario prima di suicidarsi. Poche parole, per farci capire cosa può essere la letteratura per un grande scrittore.
“Noto la frase di Henry James: osserva senza tregua. Osserva l’avvicinarsi della vecchiaia. Osserva la voracità. Osserva il tuo stesso avvilimento …. Tenersi occupati è essenziale. E ora, con un certo piacere, mi accorgo che sono le sette e devo preparare la cena. Merluzzo e salsicce. Credo sia vero che, scrivendone, ci si renda in qualche modo padroni del merluzzo e delle salsicce.”
Scrivendo, ti rendi padrone delle cose anche solo nominandole. Scrivere è dare un senso alle cose, dare un senso alla vita. È questo che Virginia Woolf ha fatto per tutta la sua vita di scrittrice.