Buon 2024 a tutti.
Anche quest’anno le mie letture continueranno con le stesse modalità degli anni precedenti. Il primo post riguarda un libro piacevolissimo da leggere. È un giallo firmato dalla scrittrice Sandra Bonzi. Il titolo è Il mio nome è due di picche ed è pubblicato da Gazanti (pagg. 297, 17,90 euro).
La storia, ambientata nella Milano contemporanea contiene un omicidio, un’indagine e la scoperta finale di un colpevole. Il tema di base però è più profondo e riguarda tutti i cambiamenti che avvengono nel corso della vita e come questi spesso possano causare disorientamento.
Sandra Bonzi riprende la protagonista del suo libro precedente Nove giorni e mezzo: si tratta della giornalista di cronaca e appassionata di indagini Elena Donati, una donna che ha superato la cinquantina ed è sposata con Ettore, professore universitario, con il quale ha avuto due figli Anna e Marco. I due giovani vivono la loro vita senza barriere geografiche e culturali, comunicando con un linguaggio tutto loro.
Per carità, la casa era vivissima ed estremamente internazionale. Vi si respirava un’aria da ombelico del mondo di cui Jovannotti sarebbe andato molto fiero.
Elena Donati osserva, analizza e sente che il mondo attorno sta cambiando velocemente così come sta cambiando il suo corpo. E con qualche difficoltà, ma pur sempre mantenendo la saggezza dovuta all’età e all’esperienza, si adegua.
Ho incontrato Sandra Bonzi alla presentazione del suo libro a Piacenza, nella mia città, e le ho proposto un’intervista. Lei con gentilezza e disponibilità ha risposto alle mie domande e qui sotto potete leggere le sue parole.
Prima domanda: Nell’Ottobre del 1028 Virginia Woolf viene invitata a tenere due conferenze sul tema le donne e il romanzo. L’intenzione era quella di riflettere sul tema del mondo femminile e della creatività letteraria. Nella tua vita, nella tua dinamica familiare che posto ha e ha avuto la scrittura e quali sono le condizioni che ti permettono e ti hanno permesso di praticarla?
Nella mia vita la scrittura ha sempre occupato un posto importante. Sono stata una ragazzina timida e riservata, quindi fin da giovanissima ho trovato più semplice scrivere che parlare. Sono stata un’adolescente che ha riempito pagine e pagine di diario con intricate pene d’amore e tormenti esistenziali. Poco più che ventenne ho iniziato a lavorare come ufficio stampa e quindi la scrittura è diventata anche lavoro. Poi ci sono stati i figli e quindi le collaborazioni con i giornali e infine il passaggio alla narrativa. Un passaggio che mi ha fatto toccare con mano quel che Virginia Woolf scriveva poco meno di cento anni fa: “A woman must have a room of her own if she is to write fiction”. Questo perché se negli anni in cui ho collaborato con i giornali non ho percepito la necessità di un tempo non interrotto (da figli, animali, incombenze familiari di vario tipo) e uno spazio tutto per me, la scrittura prima di “Nove giorni e mezzo” e poi di “Il mio nome è due di picche” ha richiesto la chiusura di una porta dietro la quale barricarmi.
Seconda domanda: Ne “Il mio nome è due di picche” riprendi la protagonista del romanzo precedente e utilizzi il genere giallo per trattare temi in cui tantissime donne, me compresa, si possono senza dubbio riconoscere. Puoi parlare di questi temi?
I temi sono quelli del tempo che passa, il corpo che cambia, i figli che crescono e lentamente prendono la loro strada, il rapporto con il partner che necessita di un "tagliando”, il mondo del lavoro che sembra poter fare a meno di te, le amiche con le quali abbiamo diviso la vita e con le quali continuiamo a farlo, i genitori che invecchiano, gli amici che si separano, il desiderio di amore, la possibilità del cambiamento….
Terza domanda: Nel libro è presente Piacenza, con una delle sue più belle vallate. Puoi spiegarci qual è il tuo rapporto con la mia città?
Frequento la Val Tidone perché ho diversi amici che hanno casa lì. E così negli anni ho potuto apprezzare non solo paesaggi e clima, ma anche cibo e vino… Piacenza l’ho conosciuta grazie al suo teatro dove mio marito ha spesso recitato. Negli ultimi anni l’ho frequentata con piacere grazie a Sonia della bella libreria Farenheit 451 che mi ha più volte coinvolta in festival e manifestazioni letterarie.
Quarta domanda: Nel libro si parla di femminicidio, argomento affrontato con insistenza in questi giorni a causa di continui e tristissimi fatti di cronaca. Tu che sei una scrittrice e sei forse più sensibile alla lettura della realtà, riesci a capire quali sono i fattori che impediscono il superamento della violenza di genere?
Un tema così drammatico e importante non si può e non si deve liquidare in una breve intervista. Fatta questa premessa, ritengo che il problema sia culturale. Siamo un Paese arretrato nel campo della parità di genere, un Paese in cui la storia del potere maschile è profonda e stratificata. Basta pensare che è solo nel 1981 che viene abrogato dal diritto penale italiano il “delitto d’onore”: Fino a quarant’anni fa, gli uomini che uccidevano mogli, figlie o sorelle che li avevano “traditi”, beneficiavano di forti attenuanti di pena. E’ evidente quindi che questo è un Paese nel quale la libertà delle donne è una scoperta molto recente, contro la quale c’è il peso di millenni di cultura patriarcale. La strada da percorrere è ancora lunga.
Un grazie di cuore a Sandra Bonzi.
Alla prossima lettura.
Paola