L’ultimo libro di Amelie Nothomb, pubblicato da Voland, è da qualche mese in libreria ed ha come titolo Sete (pagine 109, 16,00 euro).
Parliamo del titolo- Il titolo è Sete. Capiamo subito che si parla di quello stimolo fisiologico che ha a che fare con il nostro corpo e serve a mantenere in equilibrio la quantità d’acqua contenuta, acqua che è uno dei principali elementi che lo costituiscono . Possiamo vivere infatti per diversi giorni senza mangiare ma non possiamo evitare di bere. Senza assumere liquidi, infatti, il nostro corpo non può sopravvivere più di tre giorni. Nel suo libro Amelie Nothomb analizza la Sete, la contestualizza in una storia, ci insegna a gestirla e ce la mostra come mezzo per raggiungere sensazioni che altrimenti difficilmente potremmo provare.
Un breve romanzo che ci fa comprendere che avere Sete è un sintomo vitale. Ci consiglia di provarla, di prolungarla, di ritardare il momento di bere. È importante sentirla a fondo, anima e corpo prima di estinguerla. È il momento in cui le sensazioni si amplificano, come se si cadesse in uno stato di trance mistica perfetta. E alla fine, quando finalmente si riesce a bere, farlo a piccoli sorsi e godere di questo momento di benessere nel modo più consapevole possibile.
Prendete coscienza di questa meraviglia. Questa sensazione abbacinate è Dio.
La storia – La storia raccontata da Amelie Nothomb in Sete è nota a molti: racconta le ultime ore della vita di Gesù, dal processo, alla passione, alla crocefissione fino alla condanna. Ciò che è particolare e unico è la delineazione del personaggio e il modo in cui viene raccontata.
Gesù parla in prima persona, lo stanno processando, è cosciente di quanto gli sta per accadere. È un personaggio profondamente umano, ha paura del dolore fisico ma non lo fugge. Decide di vivere questo momento fino in fondo, in compagnia della Sete, che vuole sentire fino in fondo, nel corpo, nell’anima, prima di estinguerla con la morte.
Si rivela completamente ai lettori analizzando anche i suoi errori, i momenti in cui ha provato rabbia, gola o ingordigia anche se, in quanto figlio di Dio, non avrebbe dovuto.
Racconta della sua vita, dei suoi genitori; li definisce due brave persone completamente estranee al male che malgrado loro si sono trovati coinvolti in una situazione più grande di loro.
Racconta dei miracoli, in modo particolare si dilunga sul primo, Le nozze di Canaa, compiuto principalmente per far piacere a sua madre. I miracoli sono forse la parte della sua vita che meno gli piace perché creano una forte aspettativa su di lui. Diventati quasi un dovere, fanno decisamente parte della sua natura umana, e sono di fatto strettamente connessi al suo corpo.
Anche i miracoli li ho compiuti con il corpo. Quella che io chiamo scorza è un fatto fisico. Utilizzarla presuppone un momento di annullamento dello spirito. Non sono mai stato altro che me stesso, ma ho l’intima convinzione che questo potere lo possiedono tutti. La ragione per cui se ne fa così poco uso è l’enorme difficoltà del procedimento, occorrono coraggio e forza per sottrarsi allo spirito.
Racconta del rapporto difficile con Giuda, il più complicato tra i suoi discepoli. Contrariamente agli gli altri che erano sempre gentili, lui era un rompiscatole e spesso aggressivo.
Abitava il corpo con poca intensità, non conosceva la sottigliezza.
Questa situazione di incertezza continua, questa sua difficoltà a farsi amare, lo rende comunque il più interessante.
E poi c’è lei Maria Maddalena, la donna di cui è innamorato, la donna che è innamorata di lui. Bellissima è la definizione di amore che Amelie Nothomb mette in bocca al suo Gesù:
L’amore riunisce la certezza e il dubbio: si è sicuri di essere amati, tanto quanto se ne dubita, e non a momenti alterni, ma in una simultaneità sconcertante. Provare a sbarazzarsi di questa sfumatura dubitativa facendo mille domande alla propria amata, significa negare la natura radicalmente ambigua dell’amore.
Entrambi si sono trovati coinvolti in un sentimento sconosciuto, che non avevano mai provato prima. Eppure decidono di viverlo, si lasciano andare; lui la definisce il suo bicchiere d’acqua quando si muore di sete.
Dopo la condanna, dopo la notte in cella, inizia il supplizio. Il supplizio che prende significato solo perché vissuto con Sete in un paese arido e secco dove l’acqua è preziosa perché rara.
È consapevole che la sua morte è imminente e che deve passare attraverso la sofferenza. Inizia il supplizio, vissuto da uomo con momenti di forza e di abbandono. Il dolore cresce, diventa insopportabile, come è insopportabile vedere il dolore delle due donne che ama.
La folla di curiosi assiste alla passione in attesa del suo ultimo miracolo, quello che lo avrebbe salvato. Ma non accade nulla. Arriva la morte, ma i suoi pensieri nel racconto vanno avanti anche post mortem per cercare di trovare un senso a quanto è successo, alla sua nuova condizione comune a tante altre persone.
I defunti non parlano tra di loro. Non hanno niente da dirsi. Non è indifferenza ma è un altro modo di amare. È come se i morti fossero diventati lettori. Il rapporto che intrattengono all’universo è simile alla lettura. È un’attenzione calma, paziente, un lento e ponderato decifrare. Una condizione che esige solitudine –una solitudine propizia alla folgorazione
Chi è Amelie Nothomb? – Ha vissuto in Giappone, in Cina, in Bangladesh. Oggi vive tra Parigi e Bruxelles ma non si sente a casa da nessuna parte. Nonostante il suo aspetto eccentrico (veste solo con abiti di colore nero) è rigorosa e diligente sul lavoro, infatti ogni giorno dedica quattro ore alla scrittura e scrive un libro all’anno. In Italia la pubblica Voland, una Casa Editrice romana nata nel 1994, impegnata a far conoscere culture e mondi affascinanti attraverso letterature poco esplorate ma di grande profondità.
Oltre a Sete, di lei ho letto anche Stupori e tremori, una storia autobiografica che riguarda un’esperienza lavorativa in Giappone quando fu assunta in un’enorme azienda come traduttrice e poi fu declassata fino a diventare guardiana dei cessi.
A detta di molti, Sete è forse il suo libro più bello; ci mostra che l’importante per uno scrittore non è avere una storia originale da raccontare. Uno scrittore è grande quando riesce a raccontare in modooriginale ed efficace con parole giuste
In questo caso Amèlie Nothomb ha centrato in pieno l’obbiettivo. In poche pagine, senza utilizzare una parola superflua, ha creato un piccolo capolavoro da leggere e rileggere con alcuni pensieri talmente interessanti da meritare la trascrizione in una raccolta di appunti.
Alla prossima lettura.
Paola